
L’Afghanistan è tornato nel baratro dell’oscurantismo: un anno dopo la riconquista di Kabul i talebani hanno cancellato diritti e libertà, imposto al Paese un regime ispirato al fondamentalismo religioso.
Le promesse di mantenere lo status quo sul fronte dei diritti civili, in particolare delle donne, di formare un governo inclusivo e non ispirato a una sorta di teocrazia, e dunque di avviare relazioni bilaterali con la comunità internazionale, sono rimaste lettera morta.
Un esempio è stato l’intervento dei miliziani che questo 13 agosto hanno sparato in aria per disperdere circa 40 donne che si erano radunate davanti al ministero dell’Istruzione al grido di “pane, lavoro e libertà”. Alcune delle manifestanti che sono fuggite trovando rifugio in negozi vicini, sono state raggiunge dai talebani, che le hanno colpite con i calci dei fucili.
Il più clamoroso voltafaccia, un guanto di sfida al mondo, si è consumato a maggio: il leader supremo talebano Hibatullah Akhundzada in persona ha annunciato il decreto che impone alle donne di indossare il velo in pubblico. E non solo: nel testo varato dal ministero della Promozione della virtù e prevenzione del vizio, si invitano le donne “per meglio osservare l’hijab (ovvero per ‘celare allo sguardo’) è meglio non uscire di casa se non strettamente necessario“.
Ma per andare dove? Non a scuola, perché le ragazze non possono andare alle superiori, non al lavoro perché le donne che ancora lavorano lo fanno in pochissimi ambiti consentiti. E neppure in viaggio da sole, oltre i 70 chilometri si deve essere accompagnate, così come per prendere un aereo. Le centinaia che hanno scelto di sfidare il regime e protestare in strada sono state appunto picchiate, respinte con gli spari in aria, alcune attiviste di punta addirittura sequestrate.