
Solo poche persone guardano negli occhi una giovane zingara che chiede l’elemosina all’angolo di una strada,
ma facilmente la si addita come colpevole di almeno un reato.
Crea ancora sorpresa vedere un ragazzo vestito elegante ed indossando quella che in Italia viene chiamata
“papalina”, come se ci fosse qualcosa di discordante nell’abbinamento.
Chi fa parte della maggioranza di abitanti si stupisce ancora, solo perché non ha mai guardato oltre ai propri
costumi, viaggiando comodamente nella propria comfort zone. Un’area riservata spesso sinonima di
ignoranza, sufficienza o menefreghismo.
In Ariel e Azra, Diego Venturi obbliga a riflettere, ma di questo il lettore non si accorge. Il testo scorre via
velocemente, tanto che in gran parte del suo iter, sembra una lunga poesia, oppure un testo teatrale od una
sceneggiatura cinematografica. Ma si tratta di un romanzo di vita, che insegue la propria colonna vertebrale
filosofica, sociologica, psicologica. Le scene sono dettate da paragrafi corti e da capitoli di poche pagine che
si susseguono idealmente come un album di fotografie.
E’ lo stesso Ariel, adolescente israeliano, che racconta le sue emozioni, intercalandole con quelle che crede
– o si augura – possano essere quelle di Azra, ragazza di origini Rom, arrivata nella Città Eterna dopo la brusca
morte dei genitori. Le vite dei due si intrecciano e le loro diventano anche nostre, mano a mano che le pagine
volano via. I protagonisti non hanno età, perché i sentimenti non devono averne.
Sorprende la completezza di informazioni sulla vita, la storia e perfino le usanze gastronomiche e di
attaccamento familiare, meticolosamente citate nelle descrizioni dell’autore. Le due culture – quella ebraica
e quella rom – diventano parte integrante di coloro che si immergono nel racconto.
Unico possibile “rimprovero” a Diego Venturi, una conclusione apparentemente semplice del racconto, ma
la scelta potrebbe essere stata motivata dal fatto che all’amore – per fortuna – non c’è fine: per questo ne
aspettiamo ansiosi il proseguimento.