Obbligati a vivere tranquillamente

Sono tornato in Israele dopo quasi due anni per uno splendido motivo familiare. Sono infatti diventato padre di una madre, ma mi farò chiamare “nonno” solo quando parlerà il mio nipotino paradisiaco di nome Eden.

Ho passato alcuni giorni in una località costiera del centro del paese. Dalle terrazze dei palazzi potevano sentirsi degli scoppi provenienti da Gaza, ma il vento del deserto porta ogni sorta di rumore anche da centinaia di chilometri.

In tre delle quattro notti trascorse in un B&B, mi sono dovuto arrangiare nei 90 secondi che le sirene di allarme concedono per recarsi in un bunker.

La mia stanza stava al quarto ed ultimo piano, senza ascensore e solo i palazzi moderni dispongono di un rifugio in ogni appartamento. Gli abitanti del luogo mi dicevano che fino a poco tempo fa vi erano una media di 4 allarmi al giorno, ma prima si arrivava anche a una decina. Ciò nonostante, la vita lì scorre nella normale quotidianità. D’altronde sono all’incirca10 anni che da Gaza e dal Libano piovono missili. Recentemente, come nello scorso mese di dicembre, arrivano dallo Yemen, lanciato dal gruppo terroristico degli Houti, anche loro armati dall’Iran.

Sono, anzi ero abituato a dormire nudo. Durante il primo allarme, verso le 1.30 di notte, ho usufruito del tempo consigliato per infilarmi mutande, maglietta e pantofole e sono riuscito a scendere di un piano per stazionare sotto la tromba delle scale, luogo reputato il più sicuro nel caso un missile colpisse l’abitazione. La seconda notte, più o meno verso le 5, essendo riuscito ad addormentarmi senza togliermi l’intimo e la maglietta, sono arrivato alla porta del bunker, situato non solo quattro piani al di sotto di dove pernottavo, ma anche ad una decina di metri distante dal portone di ingresso del palazzo. L’allarme della mia ultima notte, verso le 3 e qualcosa, mi ha trovato in jeans ed ho potuto raggiungere facilmente le famiglie che praticamente avevano attrezzato da tempo il bunker con beni di prima necessità.

Da quei giorni, è bastato veramente poco, ogni rumore strano percepito, ogni suono simile ad una sirena, mi creano uno stato confusionale. La sera del mio rientro a Roma, avendo a disposizione l’applicazione di allerta per un’intrusione aerea sul suolo israeliano, verso le 23.40 è suonato il cellulare. Automaticamente sono uscito sul pianerottolo ed ho chiamato l’ascensore. Poi mi sono detto che il minuto e mezzo era passato e che mi trovavo a Roma: era come se vivessi uno stato di dormiveglia. È bastato così poco, per crearmi questo disagio emotivo. Figuriamoci per la popolazione israeliana che subisce questo e molto peggio da decenni eppure vive apparentemente  tranquilla: cosa potrebbe fare altrimenti?

By Alan Davìd Baumann

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