Kiev, Leopoli, Ivano-Frakivsk, Dnipro, Odessa.
Una dopo l’altra, la vendetta di Vladimir Putin per l’attacco al ponte di Crimea si abbatte sulle città dell’Ucraina.
Una raffica di 83 missili e 17 droni kamikaze lanciati su due terzi delle regioni del Paese, con almeno 11 morti e 89 feriti, infrastrutture strategiche distrutte, blackout di massa, incendi ed esplosioni e il terrore che dopo mesi torna nel cuore della capitale. L’inferno scatenato dalla Russia dopo l’attacco alla penisola simbolo delle annessioni, per cui lo zar ha pubblicamente accusato i servizi di Kiev, fa ripiombare l’Ucraina nel baratro dopo settimane di speranza per i successi della controffensiva nell’est e a sud.
“Stanno cercando di distruggerci e spazzarci via dalla faccia della terra”, ha denunciato il presidente Volodymyr Zelensky, mentre Putin rivendicava “massicci attacchi alle infrastrutture energetiche dell’Ucraina”, definendola al pari di “un’organizzazione terroristica”, e la Difesa di Mosca annunciava che “gli obiettivi dei raid di precisione sono stati raggiunti”. Un’escalation che l’Occidente ha condannato compatto, ribadendo l’impegno a restare al fianco di Kiev finché servirà.
